1Ed eccoci finalmente al secondo atto di questa fantastica collezione di frodi2, so che non vedevate l’ora.
Storicamente parlando, sarebbe impossibile non porre i primi passi verso questa mirabolante avventura3 senza addentrarci sull’antesignano quanto geniale archetipo di tutte le truffe finanziarie, vedremo anche moderne.
Stiamo qui focalizzandoci sul famigerato schema Ponzi4: ideato dal Carlo5, classe 1882, forse il pioniere tra i truffatori americani, esportò dall’Italia quello in cui riusciamo meglio.6
Tra i molti nomi che adottò per mettere in atto le sue operazioni ci sono Charles Ponci, Charles P. Bianchi, Carl, Carlo, Jean Mirò, Osama Bin Ponzi, etc..
Nel 1903, giunto dopo un lungo traversare dal vecchio continente7 a Boston con soli 2 dollari e 50 centesimi8, in quanto i risparmi che si era portato dall'Italia erano stati persi con il gioco d'azzardo durante il lungo viaggio9, trovò lavoro a Montreal, nel 1907, come consulente di una banca fondata da Luigi Zarossi, il Banco Zarossi.10
Occorre un attimo disaminare la situazione finanziaria dell’epoca, perlomeno per meglio far comprendere ai non addetti la panoramica dei tassi di mercato intercorrenti al momento dello schema.
I medesimi stazionavano su una variabile circa del 3% di equity11 sull’investimento.
La banca in esame, la quale gestiva i risparmi degli immigrati, garantiva ben il 6%12 facendo, ovviamente, incetta di risparmi.
Secondo una nota visione dell’economia, se accumuli perdite alla fine fallisci. Il buon Carlo si rese conto che la situazione dell'istituto di credito nel quale prestava l’opera era compromessa da una criticità strutturale: i cospicui interessi promessi, venivano onerati utilizzando il denaro dei nuovi correntisti attraverso un sistema basato sulla remunerazione del capitale a debito a mezzo di nuove sottoscrizione, in un circolo vizioso nel quale sono incerti gli esiti.13
Incredibilmente, la banca fallì e Zarossi scappò in Messico14 con il denaro rimasto in cassa. Successivamente, Ponzi cercò di creare un volume unico con gli annunci pubblicitari15 di vari commercianti. Incredibilmente, senza successo.
L’impresa ponziana era fallita, dunque, pur attraendo manifestazioni d’interesse da parte di una società spagnola, la quale richiese informazioni in merito ai cataloghi e appose dentro la busta un buono di risposta internazionale16, una cosa mai vista dal nostro protagonista, pur avendo lavorato per le Poste italiane.17
Facciamo chiarezza: dicesi18, buono di risposta internazionale19, quel buono postale il quale consente al mittente di pagare la tariffa di risposta del ricevente nell'ambito di una corrispondenza internazionale.
L'utilità del buono di risposta internazionale risulta indubbia: permette di addebitare il costo del francobollo nel paese di emissione, rimborsandone i relativi costi al destinatario.
Se la lettera avesse richiesto una risposta nello stesso Stato dell'invio non ci sarebbero stati problemi, poiché sarebbe stato sufficiente inserire dei francobolli validi in tutto il territorio dello Stato, ma se la risposta era richiesta da un soggetto di una nazione diversa da quella del destinatario, ecco che i francobolli non potevano essere inviati perché non avevano alcun valore. Con il buono di risposta internazionale era sufficiente recarsi in un ufficio postale per ottenere l'affrancatura minima per un invio di posta aerea per l'estero.
I buoni venivano venduti al prezzo dell'affrancatura del Paese di emissione ma, se nel Paese dove venivano scambiati con francobolli la tariffa era diversa, ecco la plusvalenza, generata dall’arbitraggio.
Poiché l’inflazione elevata post conflitto bellico aveva influenzato anche il costo dell'affrancatura in dollari statunitensi sul territorio nazionale, il magico Ponzi intuì l’affare20: acquistando i buoni in Italia e scambiandoli con francobolli statunitensi la cifra spesa e quella ricavata erano molto diverse.
Carlo Ponzi costituì immediatamente una società per gestire questo business, la Securities Exchange Company.21
Il core business consiste nell’acquisto di detti strumenti (IRC), inviarli in Usa e mutuarli con equipollenti statunitensi: questo arbitraggio non era illegale e permise, sulla carta, profitti del 400%. In questo modo Ponzi poté promettere ai potenziali investitori un tasso di rendimento del 50% in soli 90 giorni e iniziò a raccogliere i primi capitali.22
Primi investitori retail23 interamente soddisfatti e speakeasy fecero il resto: l'affare esplose tra le mani di Ponzi.
"Prendo un dollaro, con il cambio di oggi ottengo 18 lire italiane che mi bastano per comprare in Italia 60 buoni di risposta internazionali che poi converto negli Stati Uniti per 3 dollari".24
Un giovane Prodi.25
La fattualità era un margine sulla sola carta: i costi accessori (acquisto, trasporto e conversione) limavano quasi tutto il margine di profitto.26
Con l'aumentare dei fondi Ponzi cominciò a pensare in grande, aprì un conto nella Hannover Trust Bank27 e nel luglio 1920, quando oramai aveva raccolto svariati milioni di dollari, ne assunse il controllo, rilevando il 38% delle azioni.
L'acquisto della banca lo rese autorevole a meno soggetto a controlli fiscali.
Si scatenò una vera febbre isterica: tutti volevano investire e la povera gente ipotecava le proprie case per poter investire la maggior quantità di denaro possibile. In quel periodo, Ponzi, riuscì a raccogliere oltre 250.000 di dollari al giorno: cifra record per i tempi.
Il castello iniziò a vacillare quando Clarence Barron, un analista finanziario, esaminò la società di Ponzi e arrivò alla conclusione che, per poter garantire quello che prometteva, Ponzi avrebbe avuto bisogno di 160.000.000 di Buoni di Risposta Internazionale; la criticità era che in circolazione ve ne erano solamente 27.000. Gli investitori, presi dal panico, assediarono l'ufficio di Ponzi che restituì 2.000.000 di dollari, discutendo con gli investitori28 che, ancora una volta, si sentirono rincuorati e decisero di lasciargli i loro risparmi.
Il clamore della faccenda non sfuggì ai dirigenti delle Poste29 che il 28 luglio 1920, con effetto dal 15 agosto, modificarono i tassi di conversione postale per la prima volta dal dopoguerra, rendendo l'arbitraggio di Ponzi non più conveniente nemmeno a livello teorico.
Il 10 agosto gli agenti federali misero i sigilli sia alla Securities Exchange Company che alla Hannover Trust Bank e, il 13 agosto, Ponzi fu arrestato.
Fallirono 40.000 investitori,
Perdettero somme complessive pari a 15.000.000 di dollari.
Per l'epoca cifre monstre.
Nel 1934 Ponzi uscì definitivamente di prigione e fu fatto rimpatriare in Italia.30 Dopo aver svolto alcune attività in Italia, emigrò in Brasile dove morì nel 1949 in un ricovero per poveri.31
A cura di
Gianmario D’Amico